"I NEURONI SPECCHIO, IMPLICAZIONI DIDATTICHE "
"I NEURONI SPECCHIO, IMPLICAZIONI DIDATTICHE " di Matilde Cavaciocchi
PREMESSE:
I neuroni specchio sono attualmente un argomento molto trattato dalle Scienze motorie e all’interno delle varie discipline sportive, un argomento portato come innovativo, ritengo quindi giusta la scelta di Franco Biavati di aver ideato questa lezione, visto anche che ci potremo avvalere del dott. Attilio Rossi, che oltre a fare parte della nostra Associazione si è anche laureato alla Facoltà di Neuroscienze di Parma sotto la guida di uno dei collaboratori di Giacomo Rizzolatti, che assieme al suo Staff è stato il responsabile di questa scoperta.
La lezione si articolerà quindi in due momenti, la prima parte curata da Attilio Rossi che parlerà dei Neuroni Specchio spiegando cosa sono, a cosa servono e come sono stati scoperti, concentrandosi perlopiù sugli aspetti neurofisiologici , la seconda parte sarà curata da me che parlerò delle implicazioni del Sistema Specchio nelle discipline sportive, e della loro ricaduta sulla didattica. L’interesse delle Scienze Motorie per questo argomento è ovviamente dettato dal fatto che una delle principali forme di apprendimento è appunto quella per imitazione.
Va detto che, per quanto mi riguarda, mi sono avvalsa di quei testi che ho ritenuto più seri e completi, diciamo meglio organizzati.
Ciò ha comportato per me il dover fare una ricerca accurata dalla quale ho scartato molte cose e tenuto altre, prendendo da queste svariati spunti importanti; non sono molti gli autori che citerò, e questo perchè non sono stati in molti a produrre lavori degni di rilievo che andassero oltre alle numerose banalizzazioni sull’argomento, della serie “siccome ora sappiamo che esistono neuroni adibiti all’imitazione confermiamo la bontà dell’apprendimento per imitazione”. Se questo è certamente vero, ne dobbiamo però conoscere le sue leggi e i suoi meccanismi, che non sono sempre facili ed immediati da comprendere. Mi sono resa conto che in questo argomento non c’è niente di banale, tant’è che è stato molto trattato dalla Psicologia, dalla Fisioterapia riabilitativa, e da coloro che si occupano di Autismo, andandosi oltretutto a legare a tematiche importanti quali l’empatia.
Credo che nelle Scienze Motorie, come probabilmente nelle altre aree di interesse, ci sia ancora molto da lavorare su questa scoperta recente, perciò invito gli ascoltatori a considerare questo nostro intervento sul Sistema Specchio come un primo approccio all’argomento, che suppongo ci riserverà in futuro qualche altra interessante sorpresa.
I NEURONI-SPECCHIO SONO “UN CIUFFO” DI NEURONI MOTORI SCOPERTI ALL’INIZIO DEGLI ANNI NOVANTA DEL SECOLO SCORSO CHE CONSENTONO AL NOSTRO CERVELLO DI CORRELARE I MOVIMENTI OSSERVATI A QUELLI PROPRI E DI RICONOSCERNE “IL SIGNIFICATO”
Fonte: G. Rizzolatti, C. Sinigaglia; “So quel che fai”, R.Cortina editore
Sulla base di quanto affermato da Giacomo Rizzolatti, e da quanto esposto da Attlio Rossi, si capisce che il nostro sistema motorio non è più da considerarsi un mero esecutore passivo degli impulsi provenienti dagli organi di senso, quanto semmai un sistema adibito alla comprensione degli atti altrui, includendo la possibilità di codificare tipo, modi, tempi di realizzazione e anche l’esecuzione di un’azione.
I neuroni specchio consentono quindi di capire la dinamica intenzionale del gesto, anticipando l’esito cui corrispondono i movimenti iniziali del soggetto osservato.
Fondamentale per il riconoscimento dell’intenzione è il contesto in cui l’azione avviene.
Per quanto riguarda l’aspetto che interessa a noi, quello dell’apprendimento via imitazione, l’allievo ha dunque la possibilità di imitare agevolmente al momento in cui il gesto da imitare fa parte del suo patrimonio motorio. E’ dunque lecito pensare che le proposte tecniche di noi Istruttori debbano avvenire tenendo in considerazione questo fatto.
Gli allievi che arrivano da noi, anche se della medesima classe di età, non sono comunque mai ” vergini” da un punto di vista del patrimonio motorio: due bambini di 7 anni, per esempio, possono avere caratteristiche molto diverse a seconda di 2 fattori: il primo è genetico, e dunque si può essere più o meno predisposti dal punto di vista del patrimonio ereditato, il secondo, e probabilmente il più importante, varia in base al tipo di vita e di esperienze motorie che hanno potuto sviluppare o meno, se sono stati molto davanti alla TV o alla play station, oppure, viceversa, se hanno esercitato in modo più esauriente gli schemi motori di base, saltando, arrampicandosi, correndo, strisciando, capriolando eccetera, cose che possono essere esercitate normalmente sotto forma di gioco. Alcuni possono aver praticato già uno sport, altri no, alcuni possono aver già letto dei libri (esercizio cognitivamente attivo) mentre altri possono aver guardato molta TV (esercizio cognitivamente più passivo), per cui due due bambini della stessa età possono recepire i nostri insegnamenti in modo molto diverso. Importanti esperimenti sono stati fatti sui gemelli omozigoti, che condividevano dunque lo stesso corredo genetico, e che, allevati in due maniere completamente diverse, manifestavano di conseguenza comportamenti e caratteristiche diverse col passare degli anni.
L’importanza di avere gli schemi motori di base già “a posto”, di averli cioè esperiti quanto basta, risiede nel fatto che più esperienze motorie sono state fatte, più a queste esperienze motorie ci possiamo legare i nostri insegnamenti, anche specifici della disciplina, che diventano imitabili tantopiù l’allievo ne riconosce il senso attraverso un rispecchiamento che avviene al suo interno, che però avviene agevolmente nella misura in cui ciò che viene osservato è in parte conosciuto, in parte dunque esperito, familiare.
Per questo le Scienze motorie raccomandano di insistere sulla cosiddetta multidisciplinarietà, vale a dire esercizi, giochi non immediatamente inerenti l’attività specifica, proprio per fornire agli allievi tutte quelle basi motorie sulle quali se ne legheranno altre e sulle quali costruire in un secondo momento le tecniche specifiche della disciplina.
Questa tabella, tanto per fare un esempio, dà alcune indicazioni in proposito:
L’imitazione, cioè, la possibilità di apprendere via imitazione è data dunque da un rivivere all’interno di noi stessi ciò che stiamo osservando, e questo può avvenire se c’è un patrimonio motorio condiviso, almeno in parte: Non si insegna mai qualcosa di completamente nuovo.
Tutto ciò ci dà anche alcune indicazioni ad esempio sulla sequenza di tecniche da adottare: noi marzialisti sappiamo bene che ci sono alcune tecniche, come del resto in tutti gli sport, che sono più basilari di altre, più facili per iniziare, più opportune di altre da presentare all’inizio dell’insegnamento. Queste tecniche in genere, non solo hanno la caratteristica di non essere pericolose e di essere più fruibili, ma spesso rappresentano anche una buona base su cui, un domani, impararne altre per similitudine. Si parte dunque dal più facile per poi passare a qualcosa di più complesso, e non viceversa. Se qualcuno di noi potrà obiettare dicendo di avere avuto qualche allievo che capiva e replicava tutto e subito (io stessa ne ho avuti) va ricordato che per alcuni soggetti (pochi) esiste la possibilità di apprendere per intuizione, per insight, una caratteristica che non può essere considerata la regola, quanto semmai non voglio dire l’eccezione ma senz’altro qualcosa di cui pochi dispongono, e che implica caratteristiche e meccanismi psicofisici poco comuni, spesso legati ad un patrimonio genetico peculiare di quella persona.
Questo tipo di allievi può fare di noi degli Istruttori fortunati, ma la fortuna non è sinonimo di competenza. La competenza in questo caso sta più nel saper riconoscere cosa realmente può essere in grado di apprendere (in questo caso di imitare) il nostro allievo, valutando, a volte in un lasso di tempo molto limitato, le sue capacità neurofisiologiche del momento, e sulla base di ciò agire.
Detto in poche parole, a volte può non essere opportuno, efficace chiedere ad un allievo di imitare una tecnica: l’allievo potrebbe in quel momento non essere in grado di riprodurla, nè dal punto di vista motorio, nè da quello attentivo, specialmente se quella tecnica non rispecchia il suo patrimonio motorio, ne è dunque troppo lontana.
I neuroni specchio, come già detto, ci danno la possibilità di codificare le intenzioni, e anche il risultato di un’azione, poichè, più che meri gesti staccati da un contesto specifico, i neuroni specchio codificano azioni.
Per questo, da un po’ di anni a questa parte, le Scienze motorie danno alcune indicazioni al momento in cui viene mostrata una tecnica da imitare, ora le elencherò e poi le spiegherò una alla volta:
1) Far vedere da subito la tecnica per intero senza frammentarla in sottomovimenti
2) Farla vedere alla “giusta” velocità, nè troppo lentamente, nè troppo velocemente.
3) Far vedere la tecnica dalla “giusta” angolazione, cioè dalla prospettiva dalla quale poi l’allievo la dovrà ripetere.
4) Chiarire che quella tecnica andrà imitata, evidenziando l’obiettivo da raggiungere.
5) Cosa avviene nell’insegnamento di un movimento “nuovo”, che cioè non fa parte del repertorio motorio dell’allievo
6) La ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine
7) Come agisce il sistema specchio sull’insegnante
8) Dare spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe, e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti
9) Lo spazio peripersonale
10) I metodi deduttivi e i metodi induttivi
11) Empatia e apprendimento
Punto 1) Far vedere da subito la tecnica per intero senza frammentarla in sottomovimenti
“I neuroni specchio sono interessati più all’obiettivo che al dettaglio” Marco Iacoboni “I neuroni specchio “
Da questa affermazione di Marco Iacoboni si può capire la ragione per cui la tecnica vada fatta vedere per intero, e come l’attenzione dell’allievo sembri essere più attratta da un’azione, dunque un atto con una finalità, con un esito finale ben preciso, piuttosto che da un frammento di essa.
“Un fatto che vale la pena sottolineare è che i neuroni mirror codificano sempre azioni: non “sparano” durante la semplice osservazione degli oggetti. Una delle caratteristiche più stupefacenti dei neuroni mirror è la loro capacità di discernere il tipo di azione osservata in riferimento allo scopo, ovvero di codificare le intenzioni. ” da Tesi di Laurea in Scienze Motorie
Autore: Cristiano Caporali “Apprendimento motorio ed imitazione: dal sistema dei neuroni mirror alla didattica”
Voglio ora citare un famoso esperimento che per me è stato illuminante nel capire come funziona il sistema specchio.
Esperimento di Meltzoff e Moore, 1999, da “Il momento presente” di Daniel Stern :
In un primo esperimento un bambino in età preverbale osservava lo sperimentatore mentre questi raccoglieva un oggetto e cercava di depositarlo in un contenitore. Tuttavia lo sperimentatore si lasciava sfuggire l’oggetto nel percorso, in modo che lo scopo fissato non fosse raggiunto. Successivamente quando il bambino fu ricondotto sulla scena e gli venne dato lo stesso materiale, raccolse l’oggetto e lo depose direttamente nel contenitore: in altre parole si comportava secondo l’intenzione che aveva inferito (dedotto), non secondo quanto aveva osservato. Il bambino scelse dunque di privilegiare l’intenzione ipotizzata, anzichè l’azione reale osservata. Nel secondo esperimento un bambino in età preverbale osservava lo sperimentatore agire come se volesse estrarre un pomello da un oggetto simile a un manubrio da palesta, ma senza riuscirvi. In seguito, quando venne dato l’oggetto al bambino, questi cercò subito di estrarre il pomello, riuscendo nell’impresa e apparendo soddisfatto. Se tuttavia lo sperimentatore era un Robot che eseguiva la stessa azione senza risultato, il bambino non provava ad eseguire il compito. Sembrava quindi in grado di assumere che solo le persone , non i robot, sono spinte da intenzioni che sono degne di essere inferite e imitate.
Dunque ricapitolando, mostrare l’azione per intero dovrebbe aiutare a capire il senso dell’azione, quindi a comprendere l’intenzione di chi mostra l’azione, infine di prevederne il risultato finale. Un ulteriore aiuto a comprendere le intenzioni dell’esecutore può essere il mostrare l’azione in un contesto generale più ampio. Posso mostrare dunque la tecnica per esempio in un contesto di combattimento chiedendo solo di osservare (pretendere l’imitazione in questo caso potrebbe essere eccessivo), ma quello che voglio ottenere in questa fase è che l’allievo si crei una prima immagine del movimento e ne comprenda il senso, il fine, lo scopo. E’ evidente che quando mostreremo la tecnica al fine di riprodurla la mostreremo da fermi, evidenziando pochi punti salienti e cercando di portare a focalizzare l’attenzione degli allievi su di essi. Non è opportuno in questa prima fase insistere sui particolari, che andranno invece curati in un secondo momento attraverso le ripetizioni, cioè l’apprendimento per prove ed errori, sul quale torneremo dopo. Una delle evidenze sperimentali sui neuroni mirror ha mostrato che ogni neurone risponde ad un’intera azione e non a parti della stessa, questo lascia intendere che vi sia una naturale predisposizione ad apprendere unità di senso. Ciò non implica che gli esercizi più analitici non debbano andare bene, ma semmai che vengano proposti successivamente, e soprattutto che ne venga via via chiarito il senso e lo scopo, così che l’allievo possa sempre ricollegare l’esercizio alla tecnica completa, cioè ad un’unità di senso compiuto.
E’ sicuramente vero che disponiamo di un alfabeto motorio di azioni base, ma la loro corretta giustapposizione può avvenire solo nell’ambito dell’esecuzione di un’azione complessa.
Da notare che da un po’ di anni a questa parte c’è stato un cambio di rotta delle Scienze motorie a proposito dell’apprendimento di una tecnica: infatti, se prima si raccomandava un insegnamento per step, cioè frammentando il movimento e imparandolo ” pezzo per pezzo” per cui se non si era acquisita correttamente una parte del movimento non si poteva passare alla successiva, ora si raccomanda invece di far praticare la tecnica per intero, raffinandola successivamente attraverso le ripetizioni. Questo cambiamento di rotta è senz’altro dovuto alla scoperta dei neuroni specchio.
Punto 2) Mostrare la tecnica alla giusta velocità, quindi nè troppo lentamente nè troppo velocemente è un ulteriore accorgimento per indurre una giusta percezione nell’allievo, in quanto, se la tecnica è mostrata troppo velocemente l’allievo può non fare in tempo a registrare l’immagine correttamente, lo stesso dicasi di un’esecuzione troppo lenta, che sfalsa la dimostrazione rispetto alla reale immagine che se ne intende dare
Punto 3) Far vedere la tecnica dalla “giusta” angolazione, dove per giusto si intende la prospettiva dalla quale poi l’allievo la dovrà ripetere.
Se l’Insegnante si pone frontalmente rispetto agli allievi (pensiamo ad un movimento di nuoto, la bracciata), questi la ripeteranno dalla parte opposta, cioè in maniera speculare. E’ dunque opportuno collocarsi dalla stessa angolazione dell’allievo, oppure far collocare gli allievi nella maniera giusta, poichè generalmente ci guardano da posizioni sparse sulla materassina. Jakson, Meltzoff e Decety (2006), tre ricercatori impegnati da molto tempo nello studio dell’imitazione, da risultati di esperimenti hanno verificato inequivocabilmente che la prospettiva in prima persona è quella che determina la performance migliore, confermando così l’importanza della prospettiva nell’apprendimento motorio.
Punto 4) Chiarire che quella tecnica andrà imitata e non solamente osservata.
Da esperimenti fatti è stato appurato che dichiarare che quanto gli allievi andranno ad osservare andrà imitato è più efficace ai fini dell’imitazione. Sapendo che dovrò cercare di riprodurre quanto visto, l’attenzione si attiverà maggiormente rispetto a quanto si possa attivare durante la semplice osservazione di un atto, senza la preoccupazione di replicarlo. Questi esperimenti, fatti ad opera di Calvino-Merino (2004) e di Buccino si basavano perlopiù sull’acquisizione-imitazione di movimenti nuovi, sconosciuti al patrimonio motorio degli sperimentatori. Ne scaturiva che se l’attenzione era rivolta all’osservazione al fine di imitare, direzionando il focus attentivo su punti essenziali alla comprensione dell’azione, il sistema specchio era maggiormente attivato, ma erano implicati anche processi cognitivi altri dal sistema specchio.
“Seguendo quest’ipotesi è presumibile che l’apprendimento imitativo non sia semplicemente una copia di basso livello delle azioni osservate, ma al contrario, presupponga ed implichi processi cognitivi di alto livello. La conseguenza pratica è che l’esperienza motoria deve essere “significativa” intendendo con questo che il “senso”, o meglio l’obiettivo, che l’azione persegue deve essere esposto chiaramente. Operando in tal modo si direziona l’attenzione sugli aspetti salienti dell’azione e si coinvolgono processi cognitivi che portano ad una memorizzazione più stabile della stessa.”
Fonte: Tesi di Laurea in Scienze Motorie Autore: Cristiano Caporali “Apprendimento motorio ed imitazione: dal sistema dei neuroni mirror alla didattica”
Punto 5) Cosa avviene nell’insegnamento di un movimento “nuovo”, che cioè non fa parte del repertorio motorio dell’allievo.
Questo punto si ricollega così al precedente: il sistema specchio si piò attivare anche in presenza di movimenti estranei al nostro patrimonio motorio, creando a livello neurologico una prima immagine, una prima traccia del movimento, ma come detto sopra, ciò implica un’attivazione di processi cognitivi e attentivi che l’allievo deve poter mettere in gioco.
Non è detto che ci riesca, non è detto che abbia la possibilità e/o disponibilità a farlo.
E ciò sembra dipendere in parte dalla volontà o meno di farlo, ma soprattutto dal grado di maturazione neurofisiologica che si ha a disposizione in quel momento.
Vale la pena soffermarsi un attimo sul processo neurologico che sottende all’apprendimento di “nuovi” movimenti: il nuovo movimento viene come processato parte per parte dall’allievo.
In pratica i neuroni specchio nell’osservazione di un atto motorio non presente nel nostro repertorio si attivano prima spezzettando in più frammenti l’atto osservato, poi ricomponendolo nella sequenza temporale adeguata.
“Ogni frammento corrisponde ad un movimento già immagazzinato, che sia transitivo o non, e tramite la collaborazione di altre aree frontali, tutti questi frames vengono riassemblati per permettere poi la riproduzione del gesto motorio, definendo un nuovo pattern (modello) motorio. Appare evidente come i processi attentivi siano importantissimi durante la visione dell’atto motorio.”
Fonte: Alessandro Cioffi laureato presso la facoltà di scienze motorie dell’Aquila
Tesi di Laurea in Scienze Motorie sul “Ruolo dei neuroni specchio nell’apprendimento motorio e nella comprensione delle azioni “
Questo passaggio è importante per noi Operatori sportivi, poichè ci aiuta a relativizzare il fatto che gli allievi siano sempre in grado di apprendere via imitazione, talvolta questo tipo di apprendimento è efficace, dunque opportuno, altre volte può essere una richiesta troppo difficile per loro. E’ chiaro che in questa fase l’Insegnante può influire nel saper direzionare ad hoc l’attenzione degli allievi, può essere determinante nel sostenere la loro motivazione, ma può anche imbattersi nei limini motori, attentivi, cognitivi degli allievi, e dunque non gli resta che capire se proseguire su quella strada o magari cambiare direzione, aspettando momenti più favorevoli, agendo nel frattempo in altri modi.
Punto 6) La ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine.
L’apprendimento di una disciplina motoria risiede nalla memoria a lungo temine.
L’esempio, fin troppo sfruttato ma efficace è l’andare in bicicletta, si suole dire “quando hai imparto ad andare in bicicletta non lo scordi più !”. Così avviene per l’apprendimento di qualsiasi tecnica.
Ma per arrivare a far parte della memoria a lungo termine un movimento deve essere ripetuto, lavorato molto.
Dunque, se il sistema specchio è adibito all’imitazione, creando un’immagine, una traccia neurologica di quel movimento nel nostro cervello, il movimento andrà poi sgrezzato, raffinato e perfezionato attraverso le ripetizioni, vale a dire l’apprendimento per prove ed errori.
Questo tipo di apprendimento, ancora una volta richiede una maturità neurofisiologica da parte dell’allievo, il quale, se non è sufficentemente consapevole di ciò che sta facendo, diciamo pure maturo (da cui le “ripetizioni consapevoli”) si adopererà nel ripetere meccanicamente il movimento senza autocorreggersi o poter apprezzare le correzioni dell’insegnante, rischiando di “fissare ” errori, dunque vizi motori piuttosto che abilità motorie, , abitudini motorie che, non essendo passati attraverso il filtro di una giusta attenzione, del feedback interno (il proprio) e esterno (dell’insegnante), saranno poi molto difficili da correggere, poichè la traccia neurale creatasi da queste ripetizioni sarà comunque molto forte, magari correggibile ma con una certa difficoltà.
L’apprendimento dunque non è ascrivibile unicamente al sistema specchio, quanto semmai, oltre a questo, al lavoro appunto per prove ed errori, quello che aiuta a passare dalla coordinazione grezza alla coordinazione fine. Risulta evidente che se il sistema specchio è senz’altro coinvolto nella formazione della prima immagine interna del movimento è pure implicato al momento in cui una tecnica è conosciuta e perfezionabile attraverso l’osservazione dell’insegnante che la mostra, proprio perchè in parte è già conosciuta.
Resta il fatto che, sia l’apprendimento via imitazione che quello per prove ed errori hanno un’efficacia comprovata se gli allievi sono neurofisiologicamente maturi per questo tipo di metodi. Da sottolineare infine il ruolo dell’Area 46 di Brodmann, in particolare due funzioni di quest’Area: una è quella legata alla “ricombinazione dei singoli atti motori e della definizione di un nuovo pattern d’azione, il più possibile corrispondente a quello esemplificato dal dimostratore “, cit Rizzolatti , l’altra funzione è quella di “supervisore” del sistema specchio, che cioè inibisce o facilità l’attivazione del sistema specchio. L’area 46 di Brodmann è dunque una specie di organismo “esecutivo” del sistema specchio, che “decide” dunque quando questo debba entrare o meno in azione. Cit. Rizzolatti: “Deve FACILITARE il passaggio dall’azione potenziale codificata dai NS all’esecuzione dell’atto motorio vero e proprio, QUALORA SIA UTILE ALL’OSSERVATORE; ma deve anche essere in grado di BLOCCARE un simile passaggio, altrimenti la vista di qualunque atto motorio dovrebbe immediatamente tradursi nella sua replica. Per nostra fortuna non è così. L’esistenza di meccanismi di controllo sul sistema specchio è provata da parecchi dati, soprattutto clinici. Pazienti con estese lesioni dl lobo frontale hanno infatti difficoltà a trattenersi dal replicare azioni compiute da altri, in particolare dei medici che li esaminano, in casi più gravi compare quella che viene chiamata ecoprassia, dove vi è una tendenza compulsiva a replicare i gesti altrui, anche rari e bizzarri, e l’imitazione è compiuta immediatamente, quasi fosse un riflesso. Le lesioni del lobo frontale sembrano dunque eliminare quel meccanismo di freno che blocca la trasformazione delle azioni potenziali codificate in atti imitativi dai circuiti parieto-frontali” virgolettato citaz. Da “So quel che fai” Rizzolatti, Senigaglia.
Inoltre sono stati fatti studi eminenti da parte di Melztoff sul sistema imitativo dei neonati, che sembra inizino ad imitare dopo i primi 40 minuti di vita. Anche in questo caso l’imitazione non è ovviamente dovuta ad una condivisione di pattern motori o di stati emozionali ma dal fatto che la stessa Area 46 di Brodmann non ha ancora maturato le funzioni che le sono proprie.
Punto 7) Come agisce il sistema specchio sull’insegnante:
“Anche l’istruttore non si limita ad osservare il gesto di un allievo, ma lo ripete internamente.
Quando analizziamo un gesto in condizioni di attenzione e sufficiente competenza, infatti, contestualmente “carichiamo” e “facciamo girare” sul nostro sistema motorio il programma del movimento esaminato. Grazie all’azione dei neuroni specchio il movimento osservato viene «provato» internamente in maniera automatica .”
Da questa citazione di Giorgio Visintin si comprende come l’Insegnante competente, alla vista di un movimento dell’allievo, abbia, grazie al suo sistema specchio la possibilità di processare l’intero movimento comparandolo con il proprio (cioè rivivendolo al proprio interno) e da ciò scorgere gli errori o le imperfezioni, cioè tutti quegli aspetti che differiscono dalla propria esecuzione, che si suppone sia quella corretta. E’ dunque importante, ovviamente, che l’Insegnante abbia molto chiaro quel movimento se vorrà apportare le giuste correzioni al movimento dell’allievo.
Punto 8) Dare spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe, e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti.
“Ogni atto linguistico è un ATTO COMUNICATIVO, cioè portatore di significato, esattamente come gli ATTI MOTORI FINALIZZATI ” (Attilio Rossi ).
Dettto ciò, iniziamo a parlare di questo aspetto: prima di tutto va evidenziato che, se l’Insegnante spiega correttamente un gesto, e poi lo esegue in maniera scorretta, diciamo non coerente con quanto enunciato, generalmente predomina l’aspetto visivo, dunque va posta attenzione sul fatto che le istruzioni verbali siano coerenti con quanto mostrato, altrimenti gli allievi rifaranno quel che vedranno e non ciò che udiranno, anche se quello che vedono contiene un errore.
Le indicazioni verbali secondo le Scienze motorie devono all’inizio essere poche e concentrate su pochi aspetti della tecnica (“loro riprodurranno il movimento, non la spiegazione ! !” cit. Gilles Bui Xuan), senza insistere sui particolari che verranno proposti ed affinati successivamente. Questo per non sovraccaricare le capacità attentive dell’allievo, ma direzionarle piuttosto su pochi punti essenziali. Inoltre, come sappiamo, il livello di comprensione di un bambino è differente rispetto a quello di un adulto: l’adulto può poggiare, per dirla con Piaget, su un pensiero astratto, ipotetico-deduttivo, capace di compiere operazioni complesse, di astrarre appunto concetti e applicarli, il bambino si basa su un pensiero meno complesso, delle operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. E’ chiaro che noi Insegnanti si debba operare una distinzione tra allievi adulti (comunque dall’adolescenza in poi) e bambini, adeguando ad essi il nostro linguaggio, le nostre spiegazioni verbali.
La comprensione verbale, o comunque quella legata anche a suoni, rumori, insomma al nostro udito, non funziona diversamente da quella visiva, anche a suoni, rumori, parole, frasi possiamo ricollegare l’azione dei neuroni specchio, in quanto ad una parola, ad un suono, ad un rumore conosciuti posso al mio interno evocare il piano motorio corrispondente.
Questa è, al fine della comprensione di questo aspetto, una interessantissima citazione da “I neuroni specchio” di Marco Iacoboni , importante neuroscienziato di fama mondiale:
“Il semplice fatto che un sottoinsieme di cellule del nostro cervello – i neuroni specchio- si attiva quando qualcuno calcia un pallone da football, quando vede un pallone che viene calciato, sente il suono prodotto da un pallone quando viene calciato, o anche solo dice oppure ascolta la parola calcio, apre la via a sbalorditive conseguenze e nuove possibilità di comprensione.”
Ritengo che la citazione fatta da Iacoboni, sia riferita al calcio in quanto sport conosciuto e dunque condiviso un po’ da tutti. In effetti la possibilità di condividere, che sia un gesto motorio o una parola, o un rumore, quindi di rispecchiarsi in essi poichè evocativi di un piano motorio, continua ad essere alla base del funzionamento del sistema specchio. Tanto più quello che dico, e come lo dico, cioè il mio linguaggio, si avvicina a quello dei miei allievi, tantopiù essi potranno comprenderne i contenuti, cioè condividerne il senso, il significato.nirci gli esempi più svariati in questo senso…
E’ interessante come sia più facile carpire l’attenzione dei bambini se la nostra spiegazione si riferisce a giochi, ad animali, ad ambientazioni cioè a loro vicine, familiari, conosciute, piuttosto che se mi esprimo con un linguaggio tecnico, più asettico o semplicemente descrittivo del movimento. Questo ci suggerisce che anche le nostre istruzioni verbali si possano colorare di contenuti a loro vicini, condivisi, nei quali appunto si possano rispecchiare, ritrovare, con i quali ci sia un’assonanza. Come del resto è efficace se con un allievo che studia fisica, ad esempio, uso un linguaggio consono alla fisica. I contenuti che io intendo comunicare arriveranno più forti e più chiari se anche il mio linguaggio sarà condivisibile, evocativo di qualcosa che conoscono.
Anche rumori e suoni possono facilmente attivare il sistema specchio: da studi fatti nel basket, ad esempio, c’è un riconoscimento di ciò che sta avvenendo in base alla percezione del suono del pallone, di come rimbalza, del suono dell’afferramento e così via. Mi immagino che ogni sport potrebbe for
Punto 9) Lo spazio peripersonale
Lo spazio intorno a noi, sia quello più vicino, peripersonale, ” a portata di mano”, come lo definisce Rizzolatti, sia quello più lontano, cioè da raggiungere, assume significati diversi a seconda delle azioni che noi possiamo fare o pensare relativamente a questi spazi. Se si è praticanti o esperti di Judo, di Karate, di Ju jutsu, di Kendo, di carabina, di tiro con l’arco, di basket, di calcio, la nostra percezione di vicino/lontano sarà differente, ed il sistema specchio è fortemente implicato in questo. Queste diverse percezioni di vicino e lontano variano, possono cioè variare a seconda delle possibilità d’azione che ho all’interno di questo spazio, rimodulando così il concetto di vicino e lontano, a seconda appunto dell’interazione con lo spazio e/o con gli oggetti in esso contenuto. La mia percezione di una palla lontana cambierà al momento in cui la palla si avvicina , questo ovviamente vale anche per un calcio, una parata, e vale anche se una persona malintenzionata mi sta nei pressi o è lontana da me.
La nostra possibilità di interagire con gli oggetti cambia la percezione dello spazio peripersonale ed extrapersonale, un pallone lontano, uno che si avvicina, uno vicinissimo, uno lanciato lentamente, uno lanciato velocemente, un calcio che arriva, una distanza che non consente un calcio, un attacco da parare, una spada distante un metro da noi, una spada distante 3 metri da noi, tutto ciò evoca in noi potenziali programmi d’azione, programmi che grazie al sistema specchio possiamo anticipare, sia difensivi che di attacco, di parata, di presa, di fuga eccetera eccetera. La percezione dello spazio peripersonale sarà diversa da un praticante di Judo (che agisce attraverso il contatto dato dalle prese) rispetto ad un Karateka ( che agisce a distanza) e ancora rispetto ad un kendoista ( che agisce con la Shinai).
Perchè lo spazio è anche qui, uno spazio di senso, è uno spazio che evoca azioni potenziali, è dunque uno spazio possiamo dire interpretato, a seconda delle nostre abilità motorie e a seconda della nostra disciplina di riferimento, o più semplicemente a seconda della nostra esperienza di vita.
Essendo una Judoista sono tra tutti noi la persona meno indicata per parlare di spazio, visto che nel Judo si lotta corpo a corpo, e che si trattano Atemi Waza e Armi generalmente solo allo scopo di imparare un Kata, non certamente allo scopo di utilizzarli in combattimento. Ho un po’ di esperienza in proposito perchè nell’arco degli anni mi è capitato di praticare diversi stili di spada, dove ho capito l’importanza e il senso della distanza, dove anche un centimetro fa la differenza. A parte questo, ho ritenuto comunque importante mettere l’accento anche su questo aspetto, poichè esiste una forte implicazione del sistema specchio. Per cui, nel Karate, nel Ju Jutsu ecc, un lavoro sulla sensibilizzazione alla distanza può rivelarsi efficace ed opportuno, i metodi per attuarlo ovviamente li potete spiegare voi.
Punto 10) I metodi deduttivi e i metodi induttivi
Dopo questa parentesi sullo spazio peripersonale torniamo ai metodi didattici e alla possibilità di ricezione degli stessi da parte degli allievi.
Metodo induttivo Metodo deduttivo della risoluzione dei compiti Prescrittivo-deduttivo
Della scoperta guidata Metodo misto
Della libera esplorazione Metodo dell’assegnazione dei compiti
Sperimentazione – osservazione – comparazione – astrazione – generalizzazione Spiegazione dimostrazione esecuzione correzione
Protagonista del processo di insegnamento apprendimento è l’allievo giocatore Protagonista del processo di insegnamento apprendimento è l’insegnante allenatore
Educare= tirar fuori Educare= Mettere dentro
Atteggiamento dell’allievo è attivo “” è passivo
N.B molto aderente al principio della polivalenza: buon coinvolgimento oltre che motorio emotivo-sociale-cognitivo Poco aderente al principio della polivalenza
Da questa tabella di Giorgio Visintin si può sintetizzare la differenza tra metodi induttivi e metodi deduttivi partendo dal presupposto che nei metodi induttivi la conoscenza parte dal soggetto (si dice “dal particolare all’universale”, nei metodi deduttivi parte dall’oggetto ( si dice dall’universale al particolare).
Nei metodi deduttivi l’insegnante è al centro, detta il da farsi e come lo si deve fare, attraverso esempi, dimostrazioni da imitare, mentre nei metodi induttivi viene sostenuto un processo d’apprendimento più libero, dove lo svolgimento del compito è condizionato dalla soggettività dell’allievo, dove l’insegnante dà certamente delle consegne, ma lascia anche la libertà di eseguirle a loro modo.
L’apprendimento via imitazione rientra ovviamente nei metodi deduttivi, in quanto si dà per buono che venga replicato, imitato un movimento partendo dalla realtà del movimento mostrato dall’insegnante, dunque dalla tecnica. Mentre nei metodi induttivi il processo è inverso, si arriva alla tecnica ( o comunque ad un obiettivo da raggiungere) attraverso un processo di sperimentazione da parte dell’allievo. E’ il processo, in questo caso, che ci interessa e che va sostenuto, anche cambiando le consegne di volta in volta.
Abbiamo fin qui detto che, se si parla di apprendimento per imitazione al momento in cui l’imitazione non è immediata o comunque relativamente facile ( come nel caso di imitazione di movimenti in parte conosciuti, cioè che appartengono almeno in parte ai programmi motori dell’allievo), subentrano processi attentivi e cognitivi imporanti, sui quali gli allievi devono poter fare leva. Abbiamo anche detto che imitare non basta, poichè all’imitazione deve poi seguire l’esercitazione, l’apprendimento per prove ed errori, che anch’esso presuppone una maturità da parte dell’allievo, che deve di volta in volta “controllare” il movimento e non ripeterlo automaticamente. E abbiamo visto come tutto ciò non sia sempre nella disponibilità dei nostri allievi, non tanto perchè siano malevoli, maleducati o distratti, quanto semmai perchè non hanno ancora maturato quei processi neurofisiologici, attentivi e cognitivi che sottendono a questo tipo di apprendimento. Perciò, per un insegnante, poter fare leva anche sui metodi induttivi, che partono dalla realtà dell’allievo e su di essa si conformano, attraverso esercizi ad hoc che siano adatti al loro livello, alle loro reali capacità, sembrerebbe opportuno, efficace. Non perchè, ovviamente, i metodi deduttivi siano sbagliati, quanto perchè a volte sembrano non essere efficaci, sembrano non essere la via migliore per arrivare ad un risultato.
E’ evidente che la tematica riguardante le varie tipologie di didattica è molto ampia e richiederebbe un tempo altrettanto ampio per essere trattata in maniera soddisfacente, un tempo che adesso non abbiamo. Detto questo, ritengo che però sia un lavoro da fare prima o poi: noi nel Judo abbiamo da qualche anno introdotto un metodo basato sulla pedagogia conativa, che definirei squisitamente induttivo, e che ha aperto diversi orizzonti. Non sto ora a descriverlo per motivi di tempo, ma posso anticipare che lavora ancor prima della tecnica sulla funzionalità dei movimenti che poi sarà la base motoria della tecnica, in sintesi il lavoro sulla funzionalità porta a capire il funzionamento della tecnica ancor prima delle dimostrazioni e delle ripetizioni, che poi saranno opportunamente proposte successivamente, nel senso del raffinamento del gesto.
Essendo appunto un metodo prevalentemente di tipo induttivo propone, specialmente in alcune tappe, delle situazioni problema, per cui si danno consegne ad entrambi i contendenti. Questi compiti da svolgere vanno nel senso dell’azione e della mobilizzazione generale di tutte le energie a disposizione dell’allievo, partendo dall’inquadramento della tappa d’apprendimento nella quale si trova.
Punto 11) Empatia e apprendimento
Confesso che la trattazione di questo punto mi ha messo in difficoltà.
L’argomento è talmente vasto da non sapere da che parte cominciare.
Iniziamo dalla parola, dal suo significato, riporto Wikipedia:
La parola deriva dal greco “eµpa?e?a” (empatéia, a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”), che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.
…Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli studi di Daniel Stern.
Capirete il perchè ho citato Wikipedia, dove perlappunto si parla oltre che di Darwin, anche di Rizzolatti e di Stern (l’esperimento del robot di cui vi ho parlato era tratto da un libro di Stern…).
Faccio un piccolo appunto a Wikipedia perchè non concordo completamente sull “impegno di comprensione dell’altro”, in quanto l’empatia non scaturisce tanto da un impegno quanto da meccanismi automatici e non riflessivi per i quali si capisce immediatamente cosa sta provando l’altro. Gioa, dolore, rabbia, paura, disgusto con tutte le loro sfumature si riflettono dentro di noi in quanto anche noi le viviamo e le conosciamo, per cui, nello stesso modo in cui il mio sistema specchio si attiva in presenza di un movimento conosciuto del quale posso condividerne il senso ed il fine, così accade per le emozioni, per i sentimenti, per gli stati d’animo. I neuroni specchio intervengono enormemente anche in questo.
Perchè l’empatia dovrebbe interessare noi insegnanti ?
Un insegnante, qualsiasi materia insegni, non potrà in alcun modo non dare anche informazioni su se stesso, su cosa prova, su quello che è.
Gli attori sanno bene questo, per poter comunicare devono poter mettere gli spettatori in una sistuazione empatica : io penso a cosa ho imparato, o meglio non ho imparato della Divina Commedia quando andavo a scuola, e penso a cosa invece ho capito sull’argomento da Roberto Benigni, che veramente mi è arrivato dritto al cuore…
Paul Watzlawick, un’autorità nella trattazione della comunicazione umana, ci dice che “è impossibile non comunicare”, spiegando che la comunicazione ha sempre due aspetti, quello che riguarda la notizia, e quello che riguarda la relazione.
Benchè il compito di insegnante ( di qualsiasi materia, anche di matematica) imponga di insegnare una materia, non avverrà mai solo questo. I fattori umani che abbiamo citato sopra, fanno si che un insegnante possa venire percepito come simpatico, antipatico, affabile, autoritario, despota, disponibile eccetera eccetera, l’insegnante verrà riconosciuto e connotato anche ( e soprattutto a quanto pare) per le sue caratteristiche umane, oltre che per la sua competenza o meno nella materia che insegna.
Succede spesso ( e qui sono stati fatti moltissimi esperimenti, cioè, quello che vi dico è stato comprovato scientificamente in moltissime occasioni), che l’insegnante con più capacità umane, più empatico, riesca anche a proporre, comunicare meglio la sua materia, ottenendo risultati più interessanti, rendendo cioè più efficace, fruibile, interessante il suo insegnamento, facilitando l’apprendimento della materia stessa.
Nota : (La psicologia dello sport ( ma anche le Scienze Motorie) parlano del fatto che, se lo svolgimento delle lezioni avviene in un clima per così dire positivo, sostenuto dalla gioia di fare, dall’entusiasmo, dove l’insegnante riesce a porre l’accento più sulle possibilità che sui limiti, che riesce cioè a motivare positivamente gli allievi, ecco che questo contribuirà positivamente anche al miglioramento delle performances. Da notare che gli stessi studi sono applicati, con le stesse conclusioni, anche all’insegnamento delle materie scolastiche.
Quello che contesto alla psicologia dello sport è che spesso il suo primo riferimento, il suo interesse principale vada nel senso della prestazione, cioè un clima “positivo” fa si che la performance migliori. Il benessere della persona viene dunque, in un certo senso ” adoperato” al fine di una migliore prestazione, non tanto per fare si che quella persona si senta bene nel fare quello che sta facendo.
Penso che noi Insegnanti, ma anche educatori, come prevede la nostra Associazione, si possa fare una riflessione su tutto ciò, chiedendosi in realtà a cosa sia indirizzata la nosta azione didattica e educativa.)
Dunque, se noi insegnanti possiamo fare leva sulle capacità empatiche dei nostri allievi, e sulle nostre, per facilitarli nel loro compito di apprendere, possiamo considerare altrettanto seriamente l’altra faccia dell’empatia, quella per cui i nostri allievi molto spesso saranno portati a imitarci anche nelle nostre convinzioni, nei nostri valori, in quello che realmente noi siamo e manifestiamo. Essi si vedranno attraverso i nostri occhi…
Una persona che entra a fare parte di un gruppo ha bisogno di essere accettata, e per essere accettata ne deve condividere i valori portanti. Questo comportamento nasce da un fattore biologico: iniziamo con la famiglia, a fare nostro il modello educativo della famiglia non certo per una scelta ragionata e ponderata, quanto per la necessità biologica di fare parte del nostro sistema familiare, poichè quella famiglia ci ha generati, cresciuti, nutriti, accuditi, per cui, a livello profondo è come se il sistema familiare fosse indiscutibile. E’ l’istinto di sopravvivenza che ci porta ad adattarci, quello che dai primordi dell’umanità ci ha portati a costituirci in gruppi sociali per poter meglio affrontare le insidie del mondo, perchè il genere umano, se fosse stato costituito da singoli individui e non da gruppi non sarebbe sopravvissuto dicerto … Oltretutto nasciamo in un primo gruppo sociale naturale, che è appunto quello della famiglia, per cui noi siamo biologicamente predisposti a stare con gli altri, e per fare ciò rinunciamo ovviamente ad una parte , a qualche parte della nostra individualità.
Il nostro problema, diciamo il nostro fulcro di interesse sta nel fatto che quando l’apprendimento non riguarda più la sopravvivenza in sè per sè, quando l’insegnamento fa propri anche certi precetti educativi, ci possiamo porre la questione che riguarda la nostra personale influenza sui singoli e sul gruppo, tenendo ben presente , che ci piaccia o no, che SIAMO DEI LEADER E DETENIAMO UN POTERE.
Siamo alle conclusioni. E per concludere degnamente questa relazione finirò con il dare alcuni spunti di riflessione sul Potere, citando questa volta Serafino Rossini.
Rossini parla di due maniere, di due stili di potere, di due visioni, una la definisce PRETESA DI DOMINIO, l’altra l’ETICA DEL SERVIZIO.
La Pretesa di dominio parla di un potere che si autoalimenta, che si accresce nel rapporto con gli altri, che si autoconserva e tende a mantenere la propria posizione dominante.
L’etica di servizio viceversa lavora per fare crescere l’effettivo valore degli altri, implicando con ciò una riduzione del proprio dominio, è un potere questo che paradossalmente rema contro se stesso. E’ orientato a formare un individuo il più possibile libero e consapevole.
Non ho tempo per andare oltre, anche se ci sarebbe tanto da dire, ma personalmente credo che si debba fare molta attenzione all’uso del nostro potere, a volte le circostanze ci possono anche obbligare ad essere più autoritari, se mio figlio corre verso un binario dove sta passando un treno non posso stare a discutere con lui, lo devo bloccare, se vedo una situazione pericolosa in palestra e devo agire nell’immediato non esito ad esercitare la mia autorità, e non esito in molti altri casi. E’ peraltro evidente che ci saranno altrettante situazioni nella quali potrò invece fare una scelta sul tipo di impatto educativo, diciamo sul tipo di potere da esercitare, e penso che sia opportuno dover poter scegliere, senza cadere in un comportamento automatico, innescato più dalla pancia, dalle abitudini, che da un ragionamento.
Penso che la possibilità di scegliere, che sia un metodo didattico, che sia uno stile di conduzione di potere, che sia un atteggiamento da usare nelle più disparate occasioni faccia parte non solo della competenza di un insegnante in quanto portatore di una materia, ma anche e soprattutto nel suo essere persona educante, persona che avrà una grande influenza sulle generazioni a venire, sui propri allievi.
Matilde Cavaciocchi
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