IL JUDO COME SISTEMA

IL JUDO COME SISTEMA - "ispirazioni alla gestalt" di Matilde Cavaciocchi

Cos’è il Judo?
Proviamo a dirlo.
Uno sport?
Un metodo educativo?
Una via, un cammino spirituale?
O tutte queste cose insieme…?

Nel tentativo di definire, normalmente si lascia sempre qualcosa fuori, la definizione, quando non è particolarmente illuminata, tende ad escludere, a dimenticare qualche aspetto, a privilegiarne qualcun’altro.
Perché normalmente è il processo stesso del “definire” che ha come caratteristica la “sommarietà”, cioè l’incompletezza, l’approssimazione, visto che spesso si limita ad elencare e analizzare i singoli aspetti di qualcosa, senza restituirne l’idea globale.

I Maestri Zen ci parlano del suono di una mano sola, cioè di un’idea che puoi prendere in un attimo senza riuscire a descriverla nemmeno in una vita.

E’ difficile definire cosa sia il Judo.

Il fondatore ci lascia uno slogan : “Amicizia e mutua prosperità ottenuti attraverso il miglior impiego dell’energia “, che è un concetto molto bello anche perché lo si può ribaltare senza che la sua essenza venga minimamente scalfita, anzi, ma gli slogan a volte si sa, rimangono scritti, rinchiusi nei libri, o magari usati in occasioni non sempre felici e veridiche.

Allora il problema di definire cosa sia il Judo rimane.
Eppure, se guardiamo dentro di noi, sappiamo benissimo cosa è il Judo, sappiamo quando la sua essenza viene tradita, quando invece viene rispettata, quando addirittura viene esaltata, quando viene distorta.
Perché dentro di noi (qualcuno definisce “dentro” come cuore, altri come mente, altri come anima, altri come inconscio, altri ancora come il sé che contiene il tutto, noi lo chiameremo dentro), dicevo, dentro di noi accadono “percezioni”, e non definizioni. La definizione è l’estrinsecazione, la spiegazione, il rendere a parole ciò che si percepisce, ma la percezione è qualcosa di più grande.
Qualcuno mi potrà a ragione contestare che se tutti avessero la stessa idea, la stessa percezione del Judo, tutti quanti lo vivrebbero nello stesso modo.
No, questo non accade in effetti, ognuno il Judo lo vive a modo suo.

Però qualche tempo fa mi è capitato di vedere a “Cartoon channel” a casa delle mie nipotine, un’intervista ad una famosissima campionessa di Judo che ho visto combattere in televisione più di una volta, e che è notoriamente aggressiva e veramente poco rispettosa verso le avversarie.

Eppure, nell’intervista di cui sopra, questa campionessa ha parlato esclusivamente del rispetto per gli avversari, dell’importanza di saper perdere, dell’amore con cui si è dedicata al Judo e non dei soldi che ne ricava, visto che lo fa per professione, e la qual cosa ti impone veramente di vincere a qualsiasi costo.
Incredibile vero? Era irriconoscibile.

La sua esposizione del Judo sembrava veramente in linea con l’idea del fondatore, sembrava dalle sue parole che il Judo fosse davvero scuola di vita, che forgiasse le anime, le rendesse migliori…
Certo, qualcuno potrà obiettare dicendo che in quel momento era falsa, gonfiava la cosa, diceva frasi alle quali non credeva, che qualcuno magari le aveva suggerito affinché restituisse al Judo la sua immagine nobile per televisione, e così via…
Questo è possibile.
Ma se viene chiesto a un campione di restituire, anche solo a parole, la sua immagine originaria al Judo, cioè quella di un’Arte nobile, di una via, di un metodo educativo oltre che di uno sport, non è forse per il fatto che presentato in modo frammentato, in modo parziale, presentandone cioè solo una parte, quella sportiva naturalmente, questo perde di interesse, di attrattiva, di fascino ?
Perché i mass media gonfiano sempre le cose, perché si cerca di presentare una cosa, un prodotto, un personaggio, uno sport in modo da nobilitare, da dare cioè l’idea dell’intero, della complessità, del tutto e non di una parte? Perché per pubblicizzare gli spaghetti si rappresenta una famiglia felice? Qualsiasi idea che venga proposta, diciamo pure messa sul mercato, viene nobilitata.
Perché?
Per ragioni di mercato?

Si, ma perché una cosa è più appetibile e quindi più vendibile se ha una base, un capo e una coda, se è completa, perché la Scapin presenta il Judo come una cosa nobile, quando poi l’uso che ne fa è tutt’altro?.
Forse perché sa benissimo che l’idea che lei spesso tradisce quando combatte per vincere a tutti i costi e guadagnarsi lo stipendio deve in qualche modo tornare fuori e farsi sentire, deve stare in primo piano e non sullo sfondo, perché altrimenti il Judo così come viene mostrato in televisione, sarebbe inaccettabile.
E questo, a parer mio, dimostra che la percezione, l’immagine, l’idea che ognuno di noi ha del Judo, campionessa inclusa, non è affatto dissimile, e che quando questa idea viene tradita, per ragioni di interesse, di sport, di soldi, in qualche modo torna fuori, anche attraverso parole false o frasi banalmente fatte, ma torna fuori.

Il Judo è una disciplina.
Questo lo sanno tutti.

Proviene da antiche arti da combattimento e che il combattimento fosse un’arte, anche questo lo sanno tutti.
Proviene dagli antichi Samurai, i quali, come tutti sanno, avevano nobili intenti ed erano considerati dei semidei (in realtà non sempre avevano nobili intenti ed erano sovente sifilitici… ma questo non lo sanno tutti, non c’è nell’immaginario collettivo).
Si narra che avessero anche poteri che rasentavano la magia, che provenissero da una loro particolare capacità di concentrazione, che sapessero usare l’energia per compiere imprese fantastiche…

Si narra che prima di andare in battaglia meditassero, e che fossero sempre pronti a morire per un ideale, si narra tutto ciò.

E tutto ciò è contenuto a livello più o meno cosciente dentro ad ognuno di noi, come se fosse radicato nella nostra cultura, o addirittura nel nostro bagaglio genetico, che qualcuno chiamerebbe inconscio collettivo.

Come dire… quando iniziai a fare Judo, all’età di 9 anni, era come se queste cose le sapessi già, qualcuno me ne aveva parlato, chissà. In qualche modo le conoscevo.
Si pensi solo che la Bagavad Ghita, il più antico poema indiano esistente, parla del guerriero, Arjuna, il guerriero per eccellenza, colui che incarna l’archetipo del guerriero, che è consigliato addirittura da Krisna, il maggiore dio dell’induismo…

…”Guerriero è colui che si oppone al caos…”.

Insomma, questo patrimonio è quanto può accomunare una persona molto colta con un’altra che non lo è affatto, che magari ha visto solamente qualche cartone animato, ma da questo ha percepito un’essenza… Un atleta, anche se cresciuto nella palestra più bieca e incolta del mondo, sa in cuor suo quando perde e vince con onore e dignità, e quando invece non è così. Jigoro Kano, il fondatore del Judo, afferma che l’ippon, il colpo perfetto, esiste quando chi lo subisce non ha dubbi sull’aver perso…

Ecco perché ritengo che non tanto l’opinione quanto semmai la percezione che ognuno di noi ha del Judo non sia poi così diversa.

Il Judo è una disciplina che comprende tutti i livelli umani, parte dalla ginnastica, dalle cadute, dalla tecnica fino ad arrivare a rappresentarsi in modo simbolico nell’ultimo dei suoi Kata, l’Itsutsu no Kata, in cui, assolutamente dimentico dell’aspetto tecnico e quindi fisico, si manifesta in un richiamo ai 5 elementi, evocando un’immagine taoista che rappresenta appunto il Tao, cioè la via, Cioè il Do.
In questo tipo di filosofie orientali, Buddismo, Taoismo, alle quali Jigoro Kano si è ovviamente ispirato, non c’è come in occidente una netta distinzione tra materia e spirito, tra corpo e mente, però Kano, che è un personaggio assolutamente aperto ed eclettico, pensa come un occidentale (affinché la cosa si trasmetta anche agli occidentali), e presenta il Judo come la nobilitazione del Ju Jutsu, privilegiando rispetto a questo l’aspetto etico, estetico e filosofico, nonché quello salutare; fa “scorrere” l’idea del Judo facendola passare da una pratica energica in cui ci si rafforza nel corpo e nella mente, per finire all’idea di rendersi utili alla società. Kano fa passare insomma il Judo per gradi, da un piano grossolano a quello metafisico, o spirituale.
Quindi, mi autorealizzo per infine servire, per essere utile al prossimo.

Facendo ciò passo per la dimensione fisica, tecnica (Randori no Kata), mi autoperfeziono in essa, faccio esperienza del Kime, cioè dell’espressione della mia energia (Kime no Kata), sperimento l’armonia, l’adattabilità ( e con il Ju no Kata inizia il livello superiore del Judo, perché include ancora di più l’idea di essere in due,della relazione, della cooperazione), unisco decisione (Kime) a cedevolezza (Ju), e il Judo perde sempre più il proprio aspetto materiale per entrare a sperimentare un contatto particolare, fatto di ritmo, armonia, sapienza tecnica (Koshiki no Kata), e alla fine celebro un rito attraverso movimenti simbolici (Itsutsu no Kata).


Naturalmente Kano non vuole, non può imbastire una nuova religione, però un sistema educativo sì, questo lo può fare. E tiene a ricordare ai più distratti che esiste un Judo in senso stretto e un Judo in senso ampio, perché naturalmente intuisce quanto sia facile per gli esseri umani fermarsi al primo, cioè all’aspetto fisico e tecnico, dimenticando che questi sono i mezzi, e non il fine, i componenti, e non l’intero.

Dice che il Judo è fatto di Kata e Randori, cioè forma ed esercizio libero suggerisce che la pratica dell’uno e dell’altro sono egualmente importanti, dimostrando che l’esercitarsi in tutti e due questi esercizi (o categorie di esercizi), alla fine dà un risultato maggiore rispetto a quello che si otterrebbe esercitandosi in uno solo, crea insomma un complesso unitario, un sistema, come lo definirebbe la psicologia della Gestalt, in cui il tutto è superiore alla somma delle sue singole parti, dove il tutto e le sue parti si determinano reciprocamente, predominando la qualità del tutto fenomenicamente sulla qualità delle parti.

Come in una composizione musicale, dove è la melodia che viene avvertita, e non le singole note sommate una dopo l’altra, così nel Judo l’insieme degli esercizi che lo compongono danno un risultato che non è sommativo. E’ semplicemente superiore. Purtroppo accade non di rado che il Judo venga un po’ mistificato, gonfiando ed esercitando troppo una delle cose che lo compongono a scapito di un’altra (si veda l’esempio delle palestre agonistiche, dove non viene quasi mai praticato Kata (forma), né viene spiegato il significato ultimo, l’essenza del Judo, né vengono minimamente suggeriti comportamenti educati rispetto a se stessi o all’avversario).
Allora accade che emergano solo alcune delle caratteristiche di questa disciplina, in genere quelle fisiche e competitive, e che le altre restino completamente sullo sfondo. Dico sullo sfondo perché è difficile che vengano totalmente oscurate. Non vengono notate.

Accade anche che il Judo venga talvolta caricaturato, ma che riesca a non perdere la sua essenza.

Nelle caricature infatti, tutte le relazioni di posizione e di grandezza delle parti di un volto per esempio, vengono falsificate, ma nonostante questo l’identità dell’espressione viene conservata.

Accade infine che, oltre che caricaturato e oscurato, il Judo venga addirittura deprivato di qualche suo pezzo, e allora, in questo caso se il pezzo è importante, pregnante, ecco che perde la sua essenza, la sua interezza, il suo senso compiuto.
Ed ecco che rispecchierà solo alcune caratteristiche dell’essere umano, solo alcune e non altre.

Il principio educativo, il Do (la Via) rimarrà scritto sui libri o nel nostro immaginario collettivo, ma in questo contesto non funzionerà, perché sarà stato messo a tacere, perché non verrà “azionato” in alcun modo. Per cui, come nel caso in cui un cane perda una zampa e impari a vivere camminando con 3, poi gliene venga amputata un’altra e si organizzi di nuovo spostandosi su 2, così anche del Judo rimarrà un sottosistema amputato di alcune delle sue caratteristiche, che chiaramente assumerà sapori e connotazioni molto diverse da quelle originali.

UN CANE ZOPPO è pur sempre un cane, mantiene le caratteristiche della categoria del cane, un uomo senza gambe resta pur sempre un uomo, mantiene le caratteristiche della razza umana.
Lo stesso vale per un uomo senza un polmone, o senza la milza, o senza un rene.
Nel 90 % delle palestre di Judo, l’allenamento consiste nel fare uchi komi e Randori, eppure, non si può dire che quello che appare non sia Judo.

In effetti, il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi la pratica si riduca a questo paradossalmente conferma che il Judo è un sistema, cioè un insieme di cose legate tra di loro non in maniera sommativa, ma bensì da rapporti logici, coerenti, armonici, funzionali, le cui caratteristiche individuali sono comunque inferiori alla qualità del tutto, e il cui legame dà invece un risultato superiore alla loro somma.

Mi spiego: Uchi komi e randori sono un microcosmo, un sottosistema nel sistema Judo. Sono come dire… il minimo comune multiplo che si può ottenere combinando due aspetti essenziali, cioè forma ed esercizio libero. Questi possono essere due esercizi di Judo come due categorie di esercizi. In un Judo molto limitato verranno usati come esercizi, cioè appunto uchi komi e Randori, nel caso di un Judo vasto verranno considerati come categorie, apparati, o meglio ancora come funzioni adatte a far “funzionare” appunto il Judo ma nel suo complesso, nel suo senso ampio, e non esclusivamente finalizzandolo a un particolare.

Chi riduce il Judo a uchi komi e Randori magari lo fa per ignoranza, magari perché non ha interesse al senso ultimo del Judo, ma comunque sa, intuisce che per praticare un Judo in senso stretto uchi komi e Randori sono sufficienti. E’ un ridurre un sistema complesso a un sistema elementare, un dimagrimento selvaggio, ma per certi scopi, quelli esteriori, quelli “in senso stretto”, non perde di validità.

“L’addestramento nel Kodokan Judo allo scopo di ottenere un corpo sano (rentai-ho) o per sviluppare l’abilità del combattimento (shobu-ho), viene definito kyogi judo da Jigoro Kano, cioè judo in “senso stretto”, perchè dà importanza solo alla tecnica. Il kyogi judo va rimpiazzato con il kogo judo, o judo “in senso ampio”, nel quale lo shushin-ho, o educazione mentale secondo canoni morali, guida alla perfezione dell’individuo. Quindi la compiutezza fisica dell’uomo non è sufficiente in se stessa, poichè anche se egli raggiunge con la pratica del judo la massima salute e la massima abilità “Se non apporta vantaggio alla società” come dice Kano,”la sua vita è inutile”.

1+1=3
Perché 1+1 talvolta fa 3?
Perché facendo fare forma ed esercizio libero dovrei ottenere un risultato qualitativamente superiore rispetto a quello che otterrei facendo fare uno solo di questi esercizi?
Mi sembra piuttosto chiaro. C’è una fase in cui imparo, introietto, faccio entrare qualcosa dal fuori al dentro, apprendo, prendo con me. La fase successiva è quella in cui faccio uscire qualcosa da dentro verso l’esterno in maniera libera e più o meno spontanea, e questo qualcosa sarà sempre un po’ diverso dalla cosa che ho imparato, finché un giorno, in non poco tarda età, le due cose finiranno per confondersi, e quello che ne è uscito sarà molto, molto simile a quello che è entrato dentro.
Di certo, anche la mia forma sarà cambiata. Il mio Uki goshi , la forma del mio uchi goshi non sarà la stessa neppure lei. Come la forma ha modificato il mio randori, rendendomi più precisa e facendomi usare solo l’energia necessaria, così anche il Randori avrà un po’ modificato la mia forma, rendendola più verosimile ed efficace.
Questa è la base dell’alchimia tecnica del Judo.
Il Judo (in senso ampio) si esperisce attraverso un linguaggio, un codice. Se non si capisce questo, non si può capire cosa sia il Judo.
E gli istinti primordiali, la paura della morte, il bisogno di supremazia sono sperimentati e sublimati in un linguaggio. Sono portati alla coscienza, il loro contenuto è reso consapevole e utilizzato non più per scopi personali, ma avvalorandone l’idea educativa.

Si ha paura di cadere? Il nostro compagno ci controlla in maniera tale da non farci ferire. Si ha paura di fare male? Ci vengono insegnate tecniche incruente, così che nessuno si faccia male. Siamo inclini alla violenza, all’emotività? Il Judo ci insegna a trasformarla. Pratichiamo con un compagno più debole? Il Judo ci insegna ad adattarsi al suo livello. Ci sembra di essere meno efficaci di altri? Nel Judo è l’impegno che conta, non il risultato. Ci sembra di essere più bravi di altri? Bene, a un certo punto la fase di autoperfezionamento scaturirà nell’aiutare gli altri, nel mettersi ancora di più a disposizione…

Comprendere il Judo come un sistema, un qualcosa cioè che è caratterizzato dalla qualità dei rapporti delle parti che lo compongono, e non dalla loro somma, significa viverlo come Via, cioè come Tao, come Do, come cammino volto all’autoperfezionamento, alla crescita interiore, all’espansione della nostra coscienza. E man mano che la nostra coscienza si espande, anche attraverso l’acquisizione di abilità, diverremo sempre più inclusivi e sempre meno esclusivi, noi come singole entità perderemo pian piano di importanza, e crescerà invece di importanza il “Noi”, quello che scaturisce nel fare insieme, nell’essere insieme. E’ difficile capire come due persone che lottano lo facciano in armonia, poichè in apparenza c’è nella lotta il bisogno di prevalere. Ma se ognuna di essa mentre lotta tiene ferma un’idea, l’idea del Judo che ha dentro, ecco che non potrà che scaturirne l’armonia. Jigoro Kano, fra le tante cose importanti che disse, affermò che “Tutto ciò che nuoce al corpo non è Judo”, e che “il Judo inizia quando non esistono più l’idea di vittoria e di sconfitta”.
Queste due affermazioni possono essere lette sia come fine, finalità, sia come mezzo. Il Judo è una proposta educativa, che, se vissuta nella giusta maniera, porterà necessariamente pace.

Il fascino del suo aspetto fenomenologico, cioè quello fisico, è che i suoi movimenti sono necessariamente ispirati alla nautra. Il ritmo, la cadenza, lo scorrere, il cadere, il cedere, il contrapporsi….. tutto è già in natura, tutto esiste. Il fascino del suo aspetto interno è che trascende e rinuncia in qualche modo al manifestarsi appieno di questo istinto naturale, vivendolo consapevolmente. E vivere consapevolmente significa innalzarsi. Significa crescere.

Matilde Cavaciocchi

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