Brasile /Rio de Janeiro /Vila Mimosa /Noi

Brasile /Rio de Janeiro /Vila Mimosa /Noi

Correva forse il mese di marzo, era una giornata uggiosa, né bella né brutta e per tale motivo snervante, di quelle che il tempo passa, e basta.
Di quelle che ti fanno sorgere un desiderio.
Un desiderio che ti capiti qualcosa di eccezionale.
I desideri non c’è che da farli nostri, un treno che ti porta via, prima o poi passa.
E questi pensieri mi fecero addormentare.
Mi sveglia una telefonata, era Franco Biavati. L’uomo meno incline che conosco a credere alla telepatia, o ad un fantomatico senso di collegamento universale, fisica quantistica, pensieri incrociati a distanze siderali, ma che molto spesso si trova ad essere l’uomo giusto nel posto giusto.
Mi chiede se voglio andare 5 giorni a Rio de Janeiero e mi piglia in contropiede.
Io che quando sto a casa (quel poco) mi diletto a stare nei miei dovi, a piattolare coi gatti e fare le mie cosine, io, con il tergo di pietra per viaggiare, io a Rio… mah…

Mi riservo di dargli una risposta. Ne parlo con la mia tribù, con chi mi vuole bene, mi arriva un’infamata generale “se non vado”, e così gli dico di sì.
Sento la Francesca Baldini, segretaria dell’Ado Toscana, insegnante di Judo 2° dan e mia amica, la quale, come accenno alla cosa, si unisce spontaneamente, a proprie spese e con molto entusiasmo alla missione. E meno male… viaggiatrice e giramondo, si rivelerà di grande supporto in molte occasioni in fatto di disponibilità umana, spirito di collaborazione, in fatto di roaming dati e telefonino all’estero, disinvolta come nessuno nei transiti aeroportuali, che si spazientirà solamente con la sottoscritta dopo il quarto tentativo di spiegare come quando e dove Viber e Whats App sono funzionanti.
Che si va a fare a Rio?

Esiste un progetto di Sport, Cooperazione e Solidarietà a cura della Uisp di Modena attraverso la sua Onlus Uisp Modena Solidarietà, e attraverso questo progetto è stato strutturato un corso di Judo a Rio de Janeiro, nel quartiere di Vila Mimosa, dove un giovane Istruttore trentunenne Paulo Cesar Barros da Silva insegna ad un gruppo di bambini dai 6 ai 14 anni. I bambini sarebbero una quarantina, ma solo 25 partecipano costantemente alle lezioni.

La Uisp gli ha fornito, per partire, una ventina di tatami, più altri otto in seconda battuta.

Noi andremo da loro a portare judogi e cinture (visto che per un anno il loro abbigliamento si è limitato a calzoni corti e maglietta), ed eventualmente ad assistere ai passaggi di grado.

Bene.

Vila Mimosa: non è proprio una favelas, ma ne ha praticamente tutte le caratteristiche.

Uno dei più famosi luoghi di prostituzione di tutta l’America Latina, consta di 3.500 donne che ogni settimana si prostituiscono e che vengono dai vari quartieri di Rio e anche da fuori. Si conta che ci siano oltre 120.000 visite al mese.

I residenti sono 2.500 tra cui circa 500 bambini tra gli 8 e i 16 anni.

Cosa si fa a Vila Mimosa? Ci si prostituisce, naturalmente, oppure si gestisce uno dei tanti bar dove al piano terra si somministrano bevande, e al primo si va con le prostitute.
Nelle favelas la vita va così, o anche peggio. Ci sono anche i narcotrafficanti naturalmente, e persone che lavorano regolarmente ma che non hanno abbastanza soldi per comprarsi o affittare una casa in un quartiere un po’ più normale. Fogne a cielo aperto, monnezza dappertutto, ragazzini che girano di mattina invece che andare a scuola. Intendiamoci, Lula mise a suo tempo l’obbligatorietà dell’istruzione fino ai 15 anni, ma basta che i ragazzi frequentino la scuola una settimana al mese perché i loro genitori abbiano diritto al sussidio. Peccato che le tre settimane rimanenti le passino a zonzo, perlopiù.

La Polizia c’è, e tanta. Serve a dirimere le controversie più gravi (forse), a prendere accordi con quelle favelas cosiddette pacificate, dove cioè non si spara. E non è poco, visto che lì le sparatorie sono d’uso e costume. Per il resto, tutto scorre uguale.
In questo periodo c’è tanta Polizia in giro.

È servita a sfrattare la gente da quelle favelas il cui terreno sarebbe servito per i Mondiali, oltre che per sedare le eventuali sommosse che stanno avvenendo a Rio, un po’ sempre per i Mondiali (dove pare siano stati sperperati soldi a non finire e presi accordi scellerati con la FIFA, tipo quello di vendere solamente prodotti sponsorizzati da FIFA nel raggio di alcuni Km dagli stadi), un po’ per i vari problemi che sicuramente non mancano, accordi sindacali, rinnovo dei contratti, manifestazioni per la sanità, acqua, educazione ecc. ecc.

 

Stando a Rio 5 giorni effettivamente quest’aria di festa calcistica non si è sentita: sembra che i brasiliani abbiano pochissimo entusiasmo, contrariamente a quello che ci si aspetterebbe, per questo evento sportivo, che è sostanzialmente un business, sempre per i soliti, s’intende. Le spese preventivate per i Mondiali sono passate da 6 miliardi di franchi a 13,5, pare che per ristrutturare il Maracanà siano stati spesi più soldi che per rifarlo nuovo, insomma sprechi, sperperi, cattivi accordi con la FIFA, poco o niente che favorisca il popolo brasiliano.

Tornando a noi, all’allegra brigata, oltre che ovviamente Franco Biavati, partecipa anche Paolo Belluzzi, Direttore Sportivo della Uisp di Modena e responsabile di questo progetto.

Paolo, grande intenditore e cultore del Brasile ci porta il primo giorno a Vila Mimosa, che dista 10 minuti a piedi dal nostro albergo.
La prima tappa è la visita all’Associazione AMOCAVIM, referente del progetto, un centro sociale professionale e, a questo punto, sportivo, all’interno di Vila Mimosa, e luogo in cui si pratica Judo.

AMOCAVIM è un faro all’interno del quartiere: qui si tengono corsi di avviamento professionale e di studio per parrucchiere, estetista, sarta, lingua inglese, informatica eccetera, un ottimo punto di partenza per chi si vuole dare una possibilità diversa.

La prevenzione medica è un loro cavallo di battaglia, ma anche la campagna antifumo, antidroga, contro la discriminazione di genere e altro ancora.

La Direttrice dell’Associazione Cleide Almeida è una tipa tosta: ci parla in portoghese come se si capisse quello che dice, ci fa subito simpatia, si nota subito che è abituata a togliere molte castagne dal fuoco.

Visitiamo i locali dell’Associazione, dignitosi e puliti, e infine, la terrazza dove i bambini fanno Judo. È piccola, i tatami sono pochi, la tettoia è bassa (rigorosamente vietato kata guruma, pena il rimanere attaccati a una trave !!!), e oltretutto di eternit.
Che fortuna eh!

Poi usciamo, e Cleide ci porta a visitare l’interno di Vila Mimosa.

Qui l’impatto è forte: è un luogo dove per nessuna ragione al mondo un turista si dovrebbe recare da solo (se non per usufruire dei consueti servizi, ma a suo rischio e pericolo ), vietato fare foto e riprese. Vietato. Chiaro, no? Siamo tutt’occhi. Sono le 11 di mattina, tutto sommato a quell’ora c’è calma, ma è una calma che predice comunque l’attività serale: alcune ragazze già al lavoro (sono molto giovani), alcuni bar aperti, un viavai di gente a piedi, camion, motorini, qualche bambino in giro.

Conosciamo Aristotele, ragazzino frequentatore del corso di Judo, che evidentemente ha bucato la scuola. E bello e molto gentile con noi.

Davanti al bar dove facciamo sosta ci sono case, alcune delle quali con una tettoia: una di queste è completamente ricoperta di lattine e bottiglie di plastica, le strade beh… ve le lascio immaginare.

La raccolta non solo non è differenziata, ma non si direbbe nemmeno che qualcuno la raccolga. Nel “nostro” bar un tizio a un certo punto spara una musica a canna, la cosa ci diverte anche, e alla fine ci armonizziamo in tutto quel casino, le cose vanno come vanno, ma perlomeno, rigorosamente a tempo di samba.

Il pomeriggio lo passiamo a Copacabana e Ipanema, le due mitiche e arcinote spiagge di Rio, con una visuale oceanica eccezionale, con purtroppo alle spalle la consueta strada ipertrafficata e Hotel di lusso (ricorda un po’ la Costa Azzurra). Anche se neppure lì si sfugge alla povertà, ecco che in un giorno abbiamo visto l’alfa e l’omega di Rio, certamente una delle città più complicate e contraddittorie del mondo.
L’indomani ci aspetta l’incontro a Vila Mimosa con Rosilane Menezes, Rosi per gli amici.
Rosi lavora al Ministero e segue alcuni progetti sociali, è un’infaticabile volontaria che si adopera a Vila Mimosa. Arriva in forte ritardo a causa degli scioperi degli autobus che hanno causato un ingolfamento della metro,la qual cosa è evidentemente all’ordine del giorno.
Ci porta in visita in due posti per farci vedere i progetti educativi che esistono nella città.
Il primo riguarda un Centro Sportivo e Culturale in una zona disagiata di Rio che è stata in qualche modo risanata e ricostruita, con questo Centro e le case popolari. I ragazzi che ne fanno parte hanno aderito a un progetto educativo (anche se in realtà all’esterno ce ne sono alcuni un po’ più grandi che fumano strane cose davanti a quelli più piccoli). Lo spazio è bello e grande, al piano di sopra ci sono alcuni ragazzini che fanno qualcosa che ricorda la kick boxing. Li conosciamo, io salgo sul tatami e gli faccio vedere la caduta avanti corretta, senza che picchino la colonna, poi ci facciamo le foto e ci salutiamo, sono simpatici, educati, un po’ timidi.
A quel punto prendiamo un taxi e andiamo alla volta di Leblon, un quartiere bene di Rio, all’interno del quale c’è un salitone sul quale si inerpica la favelas di Cantagalo, pacificata, dove ci sono molte prostitute che lavorano allo scopo di comperarsi borse e abiti nuovi, diciamo socialmente un po’ più arrivate, se mi si consente il termine.

In cima a Cantagalo c’è un altro Centro Scolastico, Sportivo e Culturale molto interessante, nel quale vengono svolte un sacco di iniziative e manifestazioni.

In particolare troviamo un nutrito gruppo di signore che si sono riunite per parlare dei diritti delle donne in occasione del 126° anniversario dell’abolizione della schiavitù in Brasile.

Le due cose sono intimamente legate, in quanto le donne, per molto tempo, sono state forse le vittime più segnate dalla schiavitù.

Mi si conceda un breve spaccato di storia del Brasile, servirà a capire molte cose.

Qualcuno dice che la schiavitù non è poi stata del tutto debellata, e non a torto.

Quando il 13 maggio del 1888 fu abolita la schiavitù in Brasile con la cosiddetta Legge Aurea, non ci fu alcuna forma di reinserimento né risarcimento per i milioni di schiavi, al fine di aiutarli per una vita indipendente.

Molto semplicemente furono rimpiazzati da immigrati stranieri, che invece di essere comprati, potevano essere assoldati a prezzi molto bassi.

Lo sfruttamento se possibile peggiorò, questi lavoratori non avevano alcun diritto, e molto spesso venivano ingannati con i peggiori modi.

Tutt’oggi migliaia di lavoratori poverissimi sono trattati come schiavi nelle piantagioni, allevamenti, produzione e vendita di carbone. In proposito, nel 1995 il governo ha creato i Gruppi Mobili di Vigilanza che hanno liberato oltre 37.000 persone dalla schiavitù. Il lavoro schiavizzato urbano e lo sfruttamento sessuale sussistono ancora in molti stati del Brasile.

Molti di questi lavoratori abbandonano le loro regioni per andare a cercare lavoro altrove.

Tornando alla storia, nel 1850 il governo brasiliano, a causa delle pressioni dell’Inghilterra, adotta delle misure per impedire il traffico transatlantico degli schiavi.

Gli anni a venire furono quelli nei quali i sessantenni e i bambini furono affrancati, ma questo servì a posticipare ulteriormente la fine della schiavitù; oltretutto gli ultra sessantenni erano oggettivamente un peso per i padroni, non avendo più la forza di lavorare, mentre i figli degli schiavi, non potendo vivere autonomamente, venivano “protetti” dai padroni dei loro genitori.

Con figli intendiamo figli e figlie, che venivano cedute, o nel migliore dei casi vendute giovanissime ai padroni.

Che ne fosse stato di loro ve lo potete immaginare (e qui mi ricollego ai diritti delle donne di cui sopra). Da noi parliamo di pedofilia, una parola che solo a sentirla fa lo stesso effetto delle unghie sulla lavagna, che facciamo fatica a volte anche a proferirla, in Brasile per molto tempo è stata la regola, una consuetudine, una privazione di libertà che non lasciava molti dubbi: la libertà, come diceva Jim Morrison, è quella che crea dubbi.

In ogni caso all’abolizione della schiavitù ci arrivarono, ma a quel punto si paventò l’idea che gli ex schiavi potessero coltivare le terre vergini come liberi contadini, facendo crollare così l’attività dei grandi produttori rurali. Grazie alla Legge delle Terre, approvata poche settimane dopo l’abolizione del traffico di schiavi, le terre libere passarono in mano allo Stato, che le vendette a prezzi non molto elevati, ma tali da escludere dagli acquirenti ex schiavi e poveri. In pratica fu mantenuta la forza lavoro disponibile, la manodopera continuò a non avere accesso alla terra, e le forme di sfruttamento rimasero comunque molto vicine alla schiavitù. Oltre a ciò, i lavoranti si sarebbero serviti nei negozi dei proprietari rurali ed avrebbero utilizzato i servizi rimanendo di nuovo senza soldi, che invece finivano ancora una volta nelle tasche dei loro padroni. Molti lavoratori rurali del Brasile ancora oggi vivono situazioni di sfruttamento simili a quelle.

E le favelas si popolarono perlopiù dopo la Legge Aurea, quando gli schiavi liberati, non avendo dove andare, trovarono in questi sobborghi un posto vicino al lavoro e che li tenesse lontani dai quartieri dove non erano benvoluti. In compenso i pochi soldi che guadagnavano bastavano loro a stento per sopravvivere in quella situazione, per cui nel loro paese di origine non arrivava proprio nulla.
Qualcuno potrà chiedersi perché le favelas esistano ancora, ma a questo punto è chiaro: la spaccatura tra ricchezza e povertà è sempre viva, e lasciatemelo dire, i ricchi brasiliani in giro per il mondo sono i più stronzi, furfanti e boriosi che ci siano (detto da un medico di navi da crociera che è stato 27 volte a Rio, e molto, molto attendibile).
Le favelas, tanto per chiudere il cerchio storico, sono quelle che in questa pazzesca città mi hanno impressionato più di ogni altra cosa. Ma non quando ci sono entrata dentro (più o meno mi aspettavo di vedere ciò che ho visto, ero preparata), quanto per la loro vista notturna: la prima sera a Rio, dove ancora non avevo ben chiara la geografia della città, vedevo i morros, che sono colline molto a punta e molto alte, (il più famoso di essi è il Pan di Zucchero), ai piedi dei quali si vedevano come villaggi illuminati che per una sorta di illusione ottica e certamente sociale mi ricordavano l’uptown, i quartieri alti, quelli rassicuranti, dove ogni tanto si va a passare una serata mangiando il pesce, spendendo tanto e guardando il panorama. Erano favelas, tutt’altro che rassicuranti, tutt’altro che uptown, senza alcun ristorante di pesce, dove della bellezza rimane solo la vista sull’oceano.
Un grande inganno insomma, un’immagine che non dimenticherò mai, forse la più emblematica e significativa di Rio de Janeiro, delle sue contraddizioni, della sua complessità, della sua straordinarietà.

Torniamo a noi: la stessa sera conosciamo Paulo Cesar, ragazzo molto garbato e educato, il quale ci porta a fare un allenamento nel Club dove pratica, il Judo non è male, i ragazzi tutto sommato sono corretti. La serata la finiamo a Vila Mimosa al compleanno di Jaqueline, una ragazza che prima lavorava in un bar e che ora lavora al Centro AMOCAVIM, e che dunque ha fatto un bel salto di qualità. Ora, non è che tutti possono andare a una festa all’interno dei Vila Mimosa, noi siamo accompagnati, come di consueto, da Paolo e e Cleide.
La fauna locale è notevole, noi peraltro mangiamo, beviamo e ci divertiamo, Jaqueline è veramente cara e ospitale. Per tornare in albergo Cleide ci caccia in una macchina con un suo amico, inutile ricordare che non si gira da soli la sera nel quartiere. Tutte le volte che ripenso a quella serata mi viene un irrefrenabile buonumore. E butta via…
L’indomani è la giornata campale, il motivo del nostro viaggio.

Ci rechiamo a Villa Mimosa la mattina alle 9 e prepariamo la sala dove verrà fatta la manifestazione delle consegne dei judogi e cinture.

Fino al giorno prima in questa sala con in terra una mazzetta di cemento e niente più, c’era di tutto. Quando arriviamo noi è vuota e pulita, ma irrimediabilmente polverosa.

La giornata è molto bella, le donne del posto, insieme ai bambini e ragazzi, ci aiutano a collocare le sedie, a pulire il tatami che si impolvera in continuazione, gonfiano palloncini, fanno festoni, addobbano il posto, attaccano manifesti della Uisp.

Noi andiamo con Paulo a scegliere i judogi per i ragazzi: visto che non tutti hanno frequentato regolarmente, lui decide di darlo solo a coloro che hanno dimostrato più costanza.

Come dire, patti chiari, amicizia lunga.. Paulo lavora con loro al fine di far capire l’importanza di alcune regole, e soprattutto il senso del limite, per cui, nessuno di noi osa mettere in discussione la sua decisione.

In realtà durante la giornata si avvicina molta gente, un po’ per la curiosità, un po’ per il Judo che hanno fatto e per il Judo che non hanno fatto o che hanno bucato.

Abbiamo il sentore che dall’indomani molti di loro che hanno saltato le lezioni si rimetteranno in carreggiata, e che al corso ci saranno nuovi iscritti.

L’inizio della manifestazione avviene abbastanza puntualmente, si vedono un po’ di filmati sul corso di Judo, su Vila Mimosa e AMOCAVIM, alcuni di noi e di loro parlano al microfono.

Poi la consegna dei judogi, i bambini felicissimi e orgogliosi, noi pure, grandi applausi e incitamenti. Purtroppo non molti genitori sono presenti a questo evento, nonostante sia sabato, ma questo ce l’aspettavamo, lì i ragazzi di norma sono molto poco seguiti, anche quando c’è qualcosa da seguire, come in questo caso.

Segue poi una lezione, ginnastica, un po’ di tecnica e Randori, durante il quale io e Francesca siamo puntualmente invitate. I ragazzi alla fine, dopo il saluto, ci ringraziano e ci abbracciano molte volte, noi facciamo altrettanto, poi ripartiamo con il cuore pieno di gioia e grate a coloro che ci hanno permesso di fare questa esperienza.

Al momento, questo progetto è coperto fino alla fine dell’anno.

Progetti che durino più di un anno è difficile trovarli, non solamente per mancanza di fondi ma anche per la difficoltà di farli attecchire, così ci dicono quelli che ne hanno esperienza.

 

Io spero che questo continui, magari fino alle Olimpiadi, evento che potrebbe dare loro un bell’impulso a proseguire nel cammino.

Credo nel Judo, credo nello Sport, in quello senza sicumera, senza ostentazione di sé, tutto business e distintivo quale è diventato, credo nelle iniziative istituzionali ma anche in quelle personali, che potrebbero contribuire a sviluppare qualcosa di veramente importante, che ora, come si suol dire è una goccia nell’oceano ma che si potrebbe trasformare in qualcosa di ancor più sostanziale e strutturato.

Vediamo che succede. Io torno alle mie cosine, ai miei gatti, ai miei giorni.

In casa però brilla una strana luce gialla e verde…

Matilde Cavaciocchi

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